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venerdì 30 novembre 2012

Camera 3011 - Nuda

Sto qui sulla collina a contemplare le maestose mura di questo castello di certo posato qui con un gesto leggero da un eroe di un mondo antico .Una coltre di viti decorata da ricami di bocche di leone, fiori di maggio e margherite si snoda alle sue pendici come un dono agli Dei, offerto con il capo chino. 
Il vento sconvolge lo sguardo verso ogni prospettiva, tra tetti dai coppi sconnessi, terrazzi con abiti che garriscono come giulivi gagliardetti che sfilano tra case diroccate e persone (poche) appese strette  strette ai propri vestiti per non cedere al concupiscente vento che le vuole nude.
Nude come le donne dipinte su queste tele, figure lanciate da lontano con un gesto violento che le allarga e distorce, gemono tra linee incise da un coltello, i colori a schiaffeggiarle e i gemiti del vento a dargli voce ed io rapita che mi attacco un cartello negli occhi con scritto "Torno Subito".
Fausto Pirandello

Mura possenti attorno e poca aria come nel fondo di un profondissimo pozzo in cui sono senza fiato con i sensi a cogliere un segno, una luce, un punto sconnesso tra le pietre che mi circondano o un arnese che possa scalfirle.

Uno scalpiccio pigolante mi riporta indietro, ne seguo il suono, quel rimestare soffuso e scorgo nel muro una sottile feritoia. Mi alzo sulla punta dei piedi ma salirei anche sul tavolo se servisse e se avessi come colonna sonora un pezzo di Gloria Gaynor ma la visuale mi si apre in piano e  due uccellini con gli occhi da pesci senz'acqua rimestano tra rami spezzati e foglie e il sole gli fa da coperta in attesa del cibo materno.

Sorrido complice della vita e della bellezza, della solitudine e della cura altrui,della tenerezza e anche del freddo-dentro.

Sorrido, ancora, della tenacia e dell'incertezza e pure della paura e della lucida determinazione. 

Sorrido, tra le dissonanze di questi giorni miei e mi ricordo che è quasi ora di pranzo e che fuori c'è un meraviglioso possente vento che  prende e scompiglia l'anima (e c'è un ristorante che prepara magnifici spaghetti alla bottarga)...esco e mi lascio rapire dal vento, gli occhi chiusi ad assorbire il calore e il sole ad infilarcisi come fili lamè nella trama della mia anima a ridar luce ed un nuovo sentire.

giovedì 13 settembre 2012

Camera 1409 (Sfumature di grigio)

Ed eccomi qui a rollare sospinta su di un lettino mentre mi stanno accompagnando in uno dei percorsi in cui da mesi mi trovo immersa dopo che tenaglie e bulloni mi hanno cambiato qualcosa dentro. Scivolo, mi muove energia umana, presenze liquide di cui perdo i contorni già nel tragitto.
Lunghi corridoi sotterranei, il rumore metallico che scorre che neanche me accorgo piu' e mi pare tutto silenzio, 'che ormai ci sono abituata al grigio, infinite sfumature di grigio e al silenzio in cui galleggiano voci, suoni lontani e odore di muffa e the-finto delle macchinette.

C'è una festa oggi, l'ha detto Marco, ci siamo incontrati in uno dei lunghi corridoi grigi, io scivolavo verso una porta lui rullava sulle sue ruote, verso la mia stessa porta, quella che qui chiamano scuola ma a che noi ci pare solo una delle tante porte che si aprono a sorpresa per noi e dove di solito la sorpresa non è mai piacevole.

E' così quella era una delle mie porte che si apriva su un grasso corridoio dove i banchi  stavano schierati in mezzo su due file contrapposte. Sullo sfondo  il banco di Marco e altre postazioni simili con una macchina da scrivere ed io che me ne sto ormeggiata accanto ai banchi, fluttuante perchè all'occorrenza ciascuno si sente autorizzato a spostarmi e ricollocarmi altrove, sono una cosa ma che palpita e fa bum bum bum.

Io.

Io soltanto.

Io che guardo il soffitto e vorrei saper maledire tutto-il-mondo-mondiale ma il massimo che conosco è un "vatti a sparare" che a tavola mesi addietro aveva fatto infuriare mio padre. Così, col pensiero do del vatti-a-sparare ad ogni banco su cui non posso posare le mie mani, alle sedie sulle quali non posso sedermi, al cielo che non mi fa da tetto da mesi, a tutto il freddo che mi avvolge fuori e accoltella dentro, alle altre macchie sbiadite sedute alle sedie con o senza rotelle ed al grigio delle pareti e della professoressa...(vatti-a-sparare-vatti-a-sparare-vatti-a-sparare)
-Almeno, la prego non se ne venga fuori con la lezione di matematica eh?! e intanto che c'è si vada a sparare-
Marco invece pare sempre completamente preso nel suo ruolo di studente, sarà che lui nemmeno l'ha mai vista una scuola vera e ci è cascato facile in questa storia che questa qui è una scuola, poverino, digita sghembo e mi immagino le sue parole sul foglio disegnare tratti tortuosi, come il suo corpo su quella sedia invece produce lettere perfette che pare impossibile che da quelle mani incerte e fragili possano uscire file di parole così nitide e precise. Io nemmeno posso digitare, sto qui inutile e fredda come un cadavere ancora caldo a chiedermi perchè?!
Marco e la festa dietro a quel tendone. -Alla festa ci sono anche le ragazze- avevi detto a scuola nella stanza grigia coi banchi, e sorridevi un pò strano e felice. E' felice Marco quando ci sono le ragazze e fa sempre un sacco di battute per farci ridere ma a me mica mi piace e poi la suora un giorno che era arrabbiata ci ha detto "Ringraziate il Signore che vi ha mandato questo che almeno avrete da vivere mentre Marco e gli altri mica ce l'avranno questa fortuna!" e mi sa che non è proprio qualcosa di buono che lo aspetta a Marco e a me mi fa paura.
 Io invece coi ragazzi, boh! Boh cosa?! Boh, non lo so se sono felice quando ci sono i ragazzi, cioè si,  c'è Claudio che mi fa ridere quando siamo in salone e quando mi guarda è come se mi citofonasse in qualche posto dentro al petto. Ma tanto lo so che non gli piaccio, che sto qui stesa come un quarto di bue pronto ad essere porzionato e mica sono una ragazza "normale" io. Non ci voglio pensare io, ecco cos'è.
E mentre me ne vado, spinta a ruote verso il mio posto, quello dove ho un letto e un armadietto blu, trattengo nei pensieri l'immagine di quel tendone che segna il punto di valico spazio-tempo in cui si svolgerà la festa-con-le-ragazze (ed i ragazzi) dove forse qualche bacio sghembo sospenderà paura-e-dolori annientando le distanze tra tutti i mondo possibili. Arrivando alzo lo sguardo e vedo lui che mi trapana l'anima con quegli occhi blu-oceano mentre un sorriso divino illumina la stanza che sembra meno grigia. Lui L'ha appiccicato al muro la suora l'altro giorno, ha detto che è Gesu' che ha fatto un film, lei lo guarda sempre e sorride con una faccia che sembra di gomma.

 - Come bacia Gesu' suora?- pensavo a Marco e alla festa e a Claudio e...la suora non ha risposto ed è diventata tutta rossa. Boh,  sono certa che quello li appiccato sul muro bacia come nelle feste di Marco, che io non lo so come si bacia mal'ho visto nei film e quando li guardo penso al mare e a quando nuoto sottacqua e mi sento libera e felice e accolta, parte di un "qualcosa".

Boh, tanto alla festa mica ci vado.

sabato 11 agosto 2012

Camera 1108 - Il Cielo

Appena passata offline la coscienza si ritrovò tra magnifiche colline.

Tutto il giorno non aveva fatto altro che combattere contro la solitudine, che poi per chiamarla "Solitudine" dovrebbe essere obbligatoria una solitudine di almeno un anno, invece la sua durava da meno.
"Da meno?!" direbbe lei che ha la sua teoria, dice che la solitudine lei l'ha vissuta per anni nonostante un compagno lo avesse accanto. Ma lei è una strana, alle volte arriva a dire che la parola "accanto" si dovrebbe poter usare soltanto quando una-sta-vicino-ad-uno tipo un ballo lento a luci basse e cheek-to-cheek o cose del genere invece lei sapeva che lui le stava a---c---c---a---n---t---o che è tutto un'altro dire.

Ad ogni modo torniamo a noi, o meglio a lei, immersa tra  colline di un verde vellutato.

Lassopra tirava un bel vento, che poi, per "tirare" ci vorrebbero due lembi e l'azione di due forze inverse, lassu' invece l'aria "tirava" come l'acqua in discesa. Ma lasciamo stare le puntualizzazioni che già ci sta lei che dice e dice.
Così l'aria scrosciava furiosamente verso la discesa del cielo e lei stava immobile, ammantata di vento e guardava guardava lontano. Lei dice "guardava guardava" perchè lo sguardo arrivava a lambire la-fine-del-mondo e laggiu', ai bordi del mondo poteva sentire la vertigine prenderle lo stomaco. Così lei dice che si sentiva mentre guardava guardava.

Lei però non era sola, non lo era almeno quella notte.  C'era un uomo dagli occhi stanchi o forse non erano stanchi ma a lei parevano così, stanchi per le migliaia e migliaia di cose viste e vissute, stava poco piu' avanti a lei, seguendo il profilo della sua figura aveva disegnato un origami: un omino grande ed uno piccino. L'uomo non era solo, aveva con se un bambino.

 Si fermava li il loro profilo, si fermava al bambino che stava per mano all'uomo, esattamente come un ricamo nella carta, i loro abiti ondeggiavano nel vento e loro restavano immobili come due stecchi di ghiacciolo infilati nella sabbia a cui erano restati brandelli di confezione a far da veste.
Lei si chiedeva che ci stava a fare lassu' tra le colline invece  di stare a letto a dormire ma forse, in realtà, non ce la faceva neanche a chiederselo, la coscienza stava offline e lei stava semplicemente la dove i sogni l'avevano deposta dolcemente, perchè questo bisogna dirlo, e lei lo diceva sempre, i sogni ti depongono  dolcemente mentre gli incubi ti catapultano tipo SWaAsHhhh AhIIIooooOOO!.

Il cielo era terso e trasparente e dice che lei avrebbe voluto berselo tutto, alla goccia, solo in fondo, laggiu' in fondo a destra, si stagliavano delle nuvole di ovatta o di zucchero filato. Dice che erano così belle che ne avrebbe volentieri gustato un morso sfilandone una piccola matassa distraendo il proprietario ma le pareva che il tale fosse onniscente ed il rischio di farsi beccare le sembrava troppo. Così si tenne la sete di cielo e la fame di nuvole, intanto continuava a godersi il tutto, stanca ma portata via dall'incedere altezzoso e magnifico di quelle nuvole.

Dunque l'uomo ed il bambino stavano  per mano, dicevamo, anzi come dice lei "per-mano" perchè lei ha delle idee tutte sue e dice che quel modo di stare per mano era da "per-mano" perchè ci sono tanti modi di starci (per mano) e quello li che aveva davanti ai suoi occhi era di un uomo ed un bambino legati da un vincolo di amore e protezione come in un flusso che passa e ritorna. 

 E poi le nuvole presero a correre nel cielo e il vento sollevava abiti e pensieri e dice che il bambino alzò il braccio destro e toccò una nuvola lassu' nel cielo e serrò le dita con delicata fermezza,  dice che a lei le parve proprio il medesimo muoversi delle dita che si fa quando si cattura una farfalla posata su un fiore.

E trattenendo quella delicata matassa di acqua volante il bambino si girò verso l'uomo e gli sorrise, dice che gli occhi di lui luccicavano come stelle e che il bambino lasciò la mano del padre (o di quello che a lei pareva essergli padre) e prese a correre anzi lei dice che fu come vederlo s-correre, leggero come le particelle dei "soffioni" che pure lei dice che pensava fossero fiori invece scoprì che erano frutti ma dovendo restare a noi questa cosa magari ce la dirà un'altra volta. Ad ogni modo lei dice che il bimbo s-correva leggero leggero come semi di soffione e sorrideva raggiante, felice e pieno.

Suo padre restò immobile con gli abiti al vento su quella collina ad osservare la scena piu' bella del mondo, commosso. Dice che le lacrime presero a scendergli dagli abiti ed arrivando a terra entravano nel profondo, dice proprio come le radici di un ginkgo biloba che aveva visto all'Orto Botanico. Lei dice che avrebbe giurato che le lacrime scendevano come radici e che il bambino teneva una nuvola nella sua mano.



venerdì 18 maggio 2012

Camera 1705 - Sotto la Neve

"E quindi fammi capire, l'unico a cui non l'hai data sono io!" tu che raccontavi degli anni delle superiori e di come l'amoreggiare fosse per te un magnifico, bellissimo e appassionante gioco e Andrea che non se l'era tenuta piu' e te l'aveva messa li quasi fosse una battuta, dico quasi perchè era evidente che venticinque anni dopo eri ancora la sua icona sexy: una fetta di pane appena sfornato con un sottile velo burroso e marmellata ai frutti di bosco da addentare e godere.

"Andre e dire che sei proprio diventato bello, altro che Osso come ti chiamavamo e guarda che fisico!" sorridi con quegli occhi tuoi, gli passi il braccio attorno alle spalle e glielo dici con la tua erre che fa scorrere un brivido nella colonna vertebrale di qualunque maschio-medio.

Una sera dopo sei mesi che non ci si vedeva, io, tu, Andre, Ale e Fel. Matteo e Paolino c'avevano fatto il bidone. Era stata una serata infinita che  alle 2.30 stavamo ancora fuori tra nuvole di foschia, neve a bordo strada e le nostre parole che non volevano salutarsi.

Stare con voi era sempre uno "stare a casa", ogni volta ci pareva di essere ancora in quel bistrot di Parigi in gita, noi diciottenni tra sogni e partenze a dormirci addosso stretti sul TGV che tornava a Milano. Tu abbracciata ad Andre, io addosso a Matte. Roba da cuccioli che si stringono per farsi caldo, quella notte il freddo stava fuori, li dentro ci addormentammo, io e te spensierate tanto da non pensare affatto ai baci, noi tutti fratelli (la solita fregatura per Andre e mi sa pure per Mat).

Mi hai chiamata ieri, ho visto il tuo nome sul cellulare : Marghe :-) "Eccola! Come stai?!" parole sorridenti...

"Ehi...devo dirti una cosa..." è successo qualcosa, ti conosco bene, la sento la tua voce, ne conosco le pause che ti sono rare, ho paura.

"Cosa succede Marghe.. che è successo ..." tu traballi, io cammino svelta nel parcheggio sotterraneo della Metro, ho mezzora per percorrere 12 fermate e 500m a piedi, i soliti tempi stretti e un'appuntamento di lavoro.

"ha chiamato Ale...Andre stava andando in ufficio in moto, uno schianto...non sono riusciti a rianimarlo"..tu singhiozzi io mi fermo, tutto si ferma e anzi no. Vanno le cose, vanno per conto proprio, come le mie gambe che procedono mentre le parole stanno ferme e le lacrime cominciano a scorrere e scorrono come un fiume a cui si uniscono affluenti, i giorni difficili, le cose che non procedono, le paure, le delusioni...Un nodo stretto in gola e il sorriso di Andre negli occhi.

Metto giu' con te e mi chiama Ale, oggi quando l'ha saputo ha tirato un calcio al tavolo e si è fratturato il piede...piange, lui era il suo amico-di-sempre.

Ti tengo qui giu' ancora un pò, non te ne andare c'è anche Marghe, vedi?! Ascoltiamo i Depeche Mode, tu nera stringa di liquirizia raccontaci ancora dei tuoi viaggi tra deserti e cascate, degli incontri e nelle visioni da mozzare il fiato, come quella sera di fine febbraio. Come in quel vagon-lit, dimentichiamoci il freddo...

Noi, fratelli.

Somebody - Depeche Mode

giovedì 26 aprile 2012

Camera 506 - La Cucina strappata


Mi guardo intorno, una cucina ordinata e perfettamente organizzata lei, Giulia, è seduta difronte a me.

"bella questa cucina è Ikea?" appena pronunciata la magica parolina del mobilio lowcost  vorrei poter pigiare il tasto rewind e sostituire "ikea" con "un mobiliere brianzolo" , sorrido e anticipo la sua risposta

"ehm,perdono Giulia! Le maniglie sono identiche a quelle della cucina che ho appena comprato all'ikea, solo le maniglie però, qui si nota il su-misura!" lei incassa con classe il colpo

"si vero, le maniglie si somigliano tutte ma in realtà l'ho presa qualche anno fa da un mobiliere brianzolo, io volevo la cucina che avevo in mente, sai questo è il mio posto e lo volevo perfetto"

Grigio scuro e bianco lucido con particolari in acciaio, ogni angolo della stanza è vestito, nessun angolo nudo, tutto disegnato e misurato e curato dalle sue materne braccia.
Giulia è una casalinga perfetta come la sua cucina, ha lasciato il suo lavoro trentanni fa quando è arrivata la sua prima figlia, Giulia ha varcato da pochi anni la soglia dei cinquanta e da pochi chili la soglia dei settanta. Il suo compagno di una vita, suo marito, il padre delle sue due figlie è un bel signore con una folta chioma bianca ma una faccia giovane, è uno dei molti dirigenti di una grande società milanese, uno capace e deciso, uno che ha saputo prendere le redini e portare avanti la-famiglia, farsene carico e condottiero.
Sono qui per lavoro, li conosco da almeno quindicianni; loro, come me, fanno parte delle coppie-per-sempre a cui molti amici comuni facevano riferimento pensando a quelli-che-sono-belli-insieme (ancora). 
Quelli come loro. 
Quelli come me invece ora guardanno quelli che restano, loro. Quelli come me  sentono il dolore del disincanto ancora fresco, anche anni dopo.Quelli come me ripercorrono quasi ogni giorno ventidueanni di strada accanto al proprio compagno per sentirsi meno in colpa, per giustificarsi un tale strappo per ricordarsi il percorso che li ha portati a dire "basta".
Quelli come loro, a volte, non ce la fanno a perderti dal gruppo dei "loro" e vorrebbero trovare le parole giuste per farti cambiare strada e idea e se non ci riescono fanno domande, chiedono di capire come-si-possa decidere di stare soli piuttosto che restare con un tale con cui comunque hai condiviso piu' di metà della tua vita.

"...e scusa se sono invadente ma non hai paura di restare sola? io, sai, non ce la faccio a immaginarmi una vita senza di lui, certo che non è sempre una meraviglia, certo che lui esagera con il suo tono da so-tutto-io-sono-io-che-porto-avanti-la-baracca, certo che vorrei che pensasse a me di piu', che mi dimostrasse che quello che faccio per lui lo nota, che mi portasse a teatro mentre settimana scorsa avevo comprato due biglietti per farmici portare ma non ci è voluto venire perchè c'era il Milan e ci sono andata con mia sorella ma questi non sono motivi validi per decidere di lasciarlo...tu non pensi di riprovarci?"

"No Giulia, non penso piu' di riprovarci e..." non faccio neanche in tempo a finire il mio pensiero.

"almeno se tu l'avessi lasciato per un'altro sarebbe piu' facile da comprendere" sarebbe piu' facile Giulia, hai detto bene, sarebbe stato molto piu' facile e lo sarebbe oggi stesso ma non è stato così.

"sai, credo sia piu' facile per tutti pensare che le cose finiscono per colpa di un qualcosa di esterno a noi, invece quel "noi" l'abbiamo rovinato proprio soltanto noi-stessi con le nostre sole mani, con le nostre sole scelte...i rapporti sono fatti da nodi, nodi che creano la trama del rapporto, piu' nodi ci sono piu' è fitta la trama e resistente quel noi...Voi Giulia dovete avere dei bei nodi stretti" sorrido, mi appoggio allo schienale, la luce le arriva da dietro e mi entra negli occhi, lei inghiotte e prende un pò d'aria come prima di entrare nell'aula il giorno dell'esame di maturità

"ti dico una cosa che sanno in pochissime, una è la nostra comune amica, l'altra è mia sorella ma ho voglia di raccontarti questa cosa...hai parlato di nodi e..." si ferma, è commossa ed io cerco di non farlo, le trema la voce.

"Anni fa sono stata malata, ho avuto un tumore al seno e ho subito l'asportazione totale, era un tipo di tumore molto brutto, maligno, quindi mi hanno scavata come muratori albanesi. Passai mesi terrificanti prima dell'intervento e dopo quel buco mi sentii devastata violata ferita a morte. Tolte le bende mi trovai orribile pensai che non ero piu' una donna non ero piu' nulla non ero e basta e non riuscivo piu a pensare alla parola futuro. Mi sentivo solo un masso enorme sul cuore con della roba di plastica che avevano infilato nel mio buco e che aveva creato una voragine incolmabile dentro di me. Uscii dall'ospedale come un'automa e avrei voluto scomparire da questa terra e non vedere piu' nessuno o almeno avrei voluto che lui non esistesse e che io non dovessi mai mostrare a nessuno ciò che rimaneva di me, non volevo che lui mi vedesse mai così, che vedesse la sua compagna che aveva desiderato perchè quella donna non c'era piu'. E così mi rinchiusi in camera avvolta nei dolori della carne ma immersa in quelli dell'anima e non parlavo non mangiavo e avessi potuto avrei smesso di respirare e lui non diceva una parola ed io vedevo solo nero ed erano passati appena tre giorni da quando ero tornata a casa e lui quella sera apre la porta della mia camera funeraria e senza chiedere permesso mi salta praticamente addosso, non mi lascia neanche il tempo di pensare, di nascondermi e... mi scopa come un pazzo"

Si ferma su quelle parole che in altri contesti potrebbero sembrare tristi e che mi paiono "forti" dette da lei (in quella cucina su-misura con quel viso da casalinga tutta torte e fare-la-spesa) e che invece danno il peso esatto dell'energia vitale dell'amore fisico che parla senza parole e che danno un pugno al muro che mi ero costruita dentro agli occhi, nel crollo mi e ci scendono lacrime di gioia e dolore che è impossibile distinguere le une dalle altre (un pò me le inghiotto e spero non se ne accorga)... Vedo il loro nodo-cardine, vedo un uomo che ha salvato una vita, vedo che le parole a volte sono superflue, vedo che un compagno sente il tuo dolore anche se taci e tace, vedo la Bellezza di un gesto d'accoglienza, di passione, di tenerezza.

 Vedo che l'amore esiste e che i "noi" abiteranno ancora e per sempre le vie del mondo (fiuuuu...per fortuna!) 

sabato 31 marzo 2012

Camera 505 - Bianco Fermo

 "Scrivi qualcosa se vuoi, scrivi tutto quello che non gli hai potuto dire...scrivi, scrivi una lettera e poi dalla a me e gliela poserò accanto..."

Ho i piedi gelati, le coperte rigide degli ospedali non scaldano, pesano soltanto, come coperte di soldati al fronte. Li ascolto muoversi dentro di me come pesci rossi in una sfera di vetro scivolano sotto la mia pelle, guizzano poi si acquietano. Vedo solo bianco, una porta che sia apre e lei che entra luminosa come una dea e mi guarda forte. La anticipo, fermo le sue parole e mentre la guardo in quegli occhi che promettono fortune le dico che lo so già. Sei andato via.

Non ti ho scritto nulla. Ho preso un foglio e sono stata a guardarlo. Bianco, come me. E il colore non riusciva a sporcarlo. Bianco fermo.
E bianca volevo esserti. Bianca di luce e carezze. Sollevarti io come quella volta che mi prendesti in braccio prelevandomi da quel lettino per riportarmi a casa. Bianca come le divise candide delle infermiere chine a proteggermi con sorrisi e mani ferme.
Mai, dico mai, ti avevo sentito dire "non ce la faccio piu'" tu con quelle braccia forti, quei muscoli tesi sotto la pelle andavi sempre avanti, come dicevi sempre a noi di fare, camminavi a testa alta scivolando sugli aghi e sugli arnesi che ti frugavano.
Mi hai insegnato che si può essere forti e sollevare pesi, spostare pile di casse, saltare giu' dai camion, dare un pugno a un tale se proprio non c'è altro modo per difendersi, costruire una casa per dare un posto alla tua famiglia, lavorare, lavorare, lavorare. Mi hai insegnato sopratutto che "si può fare", fare con le proprie forze e con la tenacia e che l'invidia è un sentimento comodo, troppo comodo, per chi non ha voglia nè capacità per fare, per chi si aggrappa solo ai "se" ed ai "ma".
Ti penso avvolto in una nuvola di fumo e ne vorrei aspirare un pò anche adesso che non ci sei, chiudere gli occhi e sentire solo il tuo odore, fumo, sentirti scivolare nelle mie narici e trattenerti un pò prima che tu torni ad essere soltanto anima. Ti vedo. Seduto alla seggiola accanto alla finestra, lo sguardo assorto, il corpo teso, le tue spalle forti e fumo tra le tua dita, solo tu e la sigaretta e i tuoi pensieri sotto i piedi. Sei distante, sempre...irraggiungibile.

L'ultima volta che sono stata da te solo tre settimane fa avevi gli occhi incollati sulla mia pancia immensa, non riuscivi a dividerti da lei e io avrei voluto nasconderla un pò per averti per me, almeno una volta solo per me per sentire le tua mani ruvide asciugarmi le lacrime inarrestabili mentre volevo dirti tutto, non so quale tutto e di che tutto ma avrei voluto fermare il tempo e dirti e abbracciarmi a te e chiederti tutto del passato, di te, dei tuoi dolori che a volte ci voleva poco per vederli riaffiorare, per farti commuovere, anche se eri abilissimo a tornare rigido, quasi altero...un Principe della strada eri.

Non ti ho scritto nulla e non ti ho tenuto la mano mentre te ne andavi. Ero e sono qui incollata a questo letto, avvolta nel bianco. "Scrivi"...scrivo, si. Scrivo ma non mi viene niente, le parole fluttuano come queste vite che mi abitano dentro. Fluttuo insieme a loro, sono loro...la luce filtra attraverso le mie palpebre, ti penso elegante nel tuo abito scuro in mezzo a tutte le persone che ti vogliono bene, io lontana e piena di vita.

mercoledì 7 marzo 2012

Camera 503 - La Bicicletta

Ho di nuovo una bicicletta mamma.
Vedessi come salto bene sulle buche alzandomi un pò dal sellino. Scivolo giu' dal ponte come quegli sciatori che saltan giu' e volano volano volano sospesi e rapidi come gli sguardi di una stazione.
Ho anche un cestino in vimini intrecciato e con la colla a caldo ci ho incollato in un angolino tre margherite. Le margherite mi rassicurano, sanno di buoni giorni, luminosi e freschi di bucato.
E ho di nuovo anche te mamma, che forse eri smarrita nella tua vita di donna e di figlia. Ci sei, sai accogliermi di nuovo in grembo, in quei tuoi sguardi da cane a padrone che solo le madri possiedono.
Dev'essere così che guardo i miei figli, così che non resisto e li bacio sulla fronte aggrappando la mia guancia sul loro viso. Prigioniera e rapita.
Forse hai ritrovato anche tu la tua bicicletta o il monopattino o qualche arnese che ti ha rimessa in moto. Ma ora ti ho con me che a volte vorrei essere capace di stringerti o di chiederti se puoi farlo tu, tipo strizzarmi come un panno vileda prima di passarlo sul piano di vetro del tavolo del soggiorno.
La mia bicicletta mamma. Ricordi? Me l'avevano rubata un sabato di primavera, anzi, l'avevano rubata al papà. Eri andata a comprarne una nuova (subito). Celeste e con i copriraggi Ma non era la mia bici, quella delle gambe distese, delle solitarie gite tra i fossi a bagnarsi i piedi e intrecciare bracciali di fiori, del respiro e del vento tra i capelli. E non aveva il cestino.
Era una cosa estranea.
Ero ferma. A piedi. Odiavo camminare che mi si slacciavano sempre le scarpe. Tu ci avevi provato ad insegnarmelo ma riuscivo a fare i fiocchi piu' scioglievoli del cioccolato al latte.
Camminare a lungo a piedi mi faceva sentire sperduta, con la minaccia dei lacci che si sarebbero sciolti, della mia schiena che non sarebbe riuscita a farmi raggiungere agevolmente le scarpe per riallacciarle e di tutti i passanti che uno-ad-uno si sarebbero fermati, avrebbero mollato i sacchetti della spesa, le auto, il cane, il giornale per fermarsi a guardare me che mi allacciavo le scarpe in modo da far invidia ad una contorsionista russa.
Mi sono fermata una ventina d'anni mamma senza quella bicicletta.
A piedi ho fatto poca strada e combinato un sacco di casini. Quei lacci mi facevano inciampare. Ho anche provato ad indossare stivali. Un pò di strada l'ho fatta e pure con le parigine altissime con i lacci a cui facevo il doppio nodo. Ma è stato un muoversi lento, incerto e faticoso.
Ora me la sono comprata.
 Scontata. 
Bellina.
 E col cestino.
Vedessi mamma, anzi, vedrai! Sta li pronta sai?! Che la prima domenica mattina che sarò a casa, uscirò presto con la mia bicicletta. Farò tappa per un caffè e una brioche al burro, disegnerò un nuovo percorso, differente.
Percorrerò quella strada di stelle filanti fino al ponte e mi fermerò in alto a guardare le vite che passano veloci. Storie, luci e riverbero del sole sulle lamiere.
Poi, mollerò i freni e mi lascerò scivolare giu' giu' giu' fino all'angolo della strada degli orti. 
In quei prati che incorniciano la strada ci sono sempre macchie versate di fiorellini indaco, li chiamavamo occhi-della-madonna. Miniature perfette, delicati prodigi.
Li porterò da lei, da quella statuetta smozzicata dal tempo, appoggiata tra speranze veloci, polvere. e piccoli insetti. E' sempre così bella col suo manto azzurro e quel sorriso avvolgente.Quando sparivo mamma stavo lì. Era il mio posto segreto.

Mi fermerò li seduta a terra o chissadove e piangerò, piangerò piano per  il mio amore finito e chiederò perdono per aver fallito e per il dolore inferto che fa quasi peggio male di quello ricevuto.
Poi respirerò a fondo.
Riempirò il mio cestino di fiori e mi porterò a spasso tra i capelli coccinelle. 
Andrò pedalando verso casa...
 Leggera. 
Con la mia bicicletta.